the horse is the white of the eyes

Il palo della luce numero 6 che fa capolino nella parte 14 di Twin Peaks: The Return (visione di Andy)

Doveva succedere prima o poi, è successo. Il 16 dicembre 2022 David Lynch ha girato col telefono gli ultimi due clippini del suo canale YouTube. Come tutti i giorni, ogni maledetto giorno dall’agosto 2020, una previsione meteo per la giornata corrente e l’estrazione di un numero tra 1 e 10. Del canale ho già parlato qui, quando ormai la fase scoppiettante dei primi mesi aveva ceduto il passo alla solidità di un rito sempre uguale. Allora, l’orizzonte era un’interruzione dovuta alle riprese di Wisteria / Unrecorded Night, per Netflix. Ipotesi accantonata in questa forma. Intanto, la febbre lynchiana continua a oscillare generando a intervalli regolari passaparola su nuovi progetti, film in camuffa per Cannes, vecchi trucchi inseriti in nuovi formati ibridi. Mai i fatti di adesso, fine dicembre 2022, parlano solo di un rito lunghissimo interrotto di punto in bianco.

Il colpo d’occhio del canale è impressionante dal punto di vista quantitativo. 850 video del lotto numerologico – in realtà 853 – e 950 previsioni del tempo, a partire da quell’11 maggio 2020 di lockdown. E ancora: la ripresa di Rabbits, diciotto irresistibili clip con David al lavoro su qualcosa (il cosa non conta), un video isolato e svogliato di Q&A, l’unico peraltro in cui compare la vera artefice del canale, cioè la produttrice esecutiva e tuttofare Sabrina S. Sutherland, e undici corti. Alcuni recuperati dalle pieghe dell’immensa officina del cineasta di Missoula, tra cui il più cliccato in assoluto, Fire (Pożar), ufficialmente senza diacritico malgrado il titolo originale sia polacco e scaturisca da una delle collaborazioni gemmate dalle riprese a Łódź di Inland Empire. Altri nuovi, letteralmente fatti in casa, api, ragni e bacarozzi, una spiazzante ripresa lampo dell’immaginario di Dumbland e un omaggio volutamente analfabeta ad Alan Splet, fautore dei primi suoni lynchiani prima ancora che esistesse l’aggettivo. In tutto, quasi duemila video da moltiplicare per una media di un minuto e mezzo ciascuno. Si va verso le 40 ore di materiale.

Dopo l’opus magnum di The Return, questo canale nato in reazione al covid e per mantenere vivo il contatto con i fan durante un periodo di magra è a sua volta una grande opera, potabile non solo per gli appassionati hardcore. Per più di due anni e mezzo ha fornito un piccolo rituale quotidiano a migliaia di persone, me compreso. L’esatto contrario dell’I’m Not There di Dylan: eccomi qua, ci sono. Mi mostro tutti i giorni dicendo sempre le stesse cose e facendo sempre le stesse mosse. Con minime variazioni, vi ipnotizzo. Un margine filiforme di evoluzione e creatività che ricorda il discorso accademico. Gli ultimi mesi, con la metafora infantile del Fun Work Train dai vagoni sempre nuovi sfoderata ogni fine settimana, un po’ di corda l’hanno mostrata. Ma ora che il rito è finito c’è solo una tristezza abissale.

Il primo dicembre 2022 Lynch ha caricato un video “unlisted”, che non si trova né nelle playlist, né nell’elenco cronologico dei clippini caricati. Eccolo. S’intitola PEACE, tutto maiuscolo, ed è quanto di più semplice e sessantottino ci si possa immaginare. Sarà sicuramente piaciuto a Donovan, e come colonna sonora ha Fire to the Stars di Angelo Badalamenti, dal film The Edge of Love (2008) di John Maybury. Il lutto per Badalamenti ha segnato l’ultima settimana di pubblicazione dei clippini. La fine della musica annuncia anche la fine dei video.

Lynch ha sempre realizzato i contenuti per il canale da casa sua, a Los Angeles. Tutti i giorni, senza eccezioni. Una sola volta ha attivato lo smartphone prima dell’alba, precisando che aveva un impegno di lavoro. Probabile che si sia trattato del giorno in cui si recò sul set di The Fabelmans per girare la sequenza [spoiler] che lo vede nei panni di John Ford. Chi ha visto il film sa che si tratta degli ultimi minuti, un colpo di coda da maestro che corona uno dei film di Spielberg più affabulatori degli ultimi anni. A fuoco come Bridge of Spies o Ready Player One, ma senza un’impalcatura storica stringente o effetti in ogni dove. Spielberg si mette pericolosamente davanti allo specchio, come Rylance nei primi fotogrammi di Bridge of Spies, raccontando una storia di famiglia nei confronti della quale si può legittimamente alzare le spalle. Ma il film funziona, e a meraviglia, come storia di un’ossessione che ammutolisce. E questa ossessione, va da sé, è il cinema come racconto, come malta vitale e come luogo. Spielberg ha realizzato a sua volta un clippino introduttivo al film in cui ringrazia gli astanti di essere usciti di casa, di essere venuti fin lì, nel buio, col fascio di luce sopra la testa, per inocularsi due ore e mezza di droga buona. Lynch è l’ultima dose di questa iniezione spielbeghiana al cubo.

John Ford irrompe in scena come Phillip Jeffries / David Bowie in Fire Walk With Me (1992): svelto da sinistra, sbucando da una porta lignea invece che da un ascensore. Persino la segretaria (Jan Hoag) sembra uscita da Twin Peaks o da The Straight Story. Gli corre dietro e torna alla scrivania con dei kleenex pieni di chiazze vermiglie. Rossetto appena ripulito. Dopodiché, ladies and gentlemen, il film diventa The Cowboy and The Fabelman. Un solo dettaglio: la statuetta metallica del cavallo alle spalle di John Ford, su un tavolino alla sua sinistra. Questa immagine, ancor più del rito lunghissimo di accendersi un sigaro con lo zolfanello o del cappellino con visiera che Lynch usa sempre sul set, fa sì che il film più personale di Spielberg (parola di Spielberg) si tramuti, nel finale!, in un omaggio scoperto al “più grande regista mai vissuto”… cioè, diciamo, John Ford.

Oltre a essere una componente essenziale dell’immaginario western, il cavallo bianco è anche uno dei segnali di sventura di Twin Peaks. Apparso sottotraccia nel pilot della seconda stagione, poi ancora nell’episodio in cui Maddie viene uccisa da Bob, in una boutade di Windom Earle, in Fire Walk With Me (poche ore prima dell’assassinio di Laura) e nelle parti 2 (Loggia nera) e 8 (flashback del 1956) di The Return, il cavallo – ora in forma di statuetta – è il simbolo del male nell’ultimissimo episodio di Twin Peaks, la parte 18. Dale Cooper / Richard si ferma al diner di Odessa Eat at Judy’s, davanti al quale campeggia un cavalluccio, e a casa di Carrie Page, mentre conversa con lei, ce n’è un altro sulla mensola. Lynch stesso gioca col topos del cavallo pernicioso nel video realizzato nel 2017 per il Comic-con, mentre The Return usciva gradualmente su Showtime. La scelta, spiazzante e idiosincratica, di fare del cavallo bianco non un vettore di salvezza ma un presagio di rovina, è uno degli Acheronti sotterranei che perturbano la visione senza dover ricorrere al ghigno demoniaco di Bob. Sulla stessa linea d’onda, ma con un mutatis mutandis bello grosso, i nitriti dietro le nuvole in Nope (2022) di Jordan Peele. Col cavallino alle spalle di John Ford, Spielberg fa entrare l’universo lynchiano nel proprio, così come vent’anni fa con A.I. aveva abitato una fantasia incompiuta di Kubrick.

In Twin Peaks, il cavallo anticipa il male onnipresente, poco importa se nascosto tra i fili d’erba o dietro una cortina rossa che sventola nel bosco. Non c’è viaggio “dall’altra parte” che tenga. Qui si annida una critica a uno degli escamotage più facili degli ultimi anni, il proliferare delle dimensioni, che nella sua forma più riuscita è ludico e stimolante (Rick and Morty), ma più spesso (dalla Marvel a Pandora, passando per certi filoni di Dylan Dog) rivela escapismo puro e salto dello squalo. Ovunque tu vada, qualunque sia la tua identità, checché tu faccia, questo il messaggio, finirà / inizierà sempre così. Laura continuerà a morire. Sarah Palmer continuerà a vedere cavalli bianchi. È la medesima intuizione alla base di Lost Highway: non un rizoma infinito, bensì una letale striscia di Moebius. Cavalcate liberatorie verso l’orizzonte? Inani.

Ma Spielberg non sa cosa sia una brutta fine. E The Fabelmans si conclude con un semplice movimento di macchina, visibilmente manuale, che concilia all’ultimo secondo e apre nuovi orizzonti. Come se nel 1956 un boscaiolo con la faccia di carbone e la sigaretta in bocca avesse bofonchiato questa nenia nel microfono dell’emittente KPJK: This is the water / And this is the well. / Drink full and descend. / The horse is the white of the eyes and light within.