Fliegender Zirkus

Non avevo mai guardato integralmente il Circo volante dei Monty Python (1969-1974). Grazie allo shutdown, e come antidoto alla follia, l’ho fatto. Ben fatto. Parlare dei Python a sette anni dal loro ufficiale, definitivo scioglimento, a uno dalla morte di Terry Jones, a ventuno da quella di Graham Chapman e dopo le intere enciclopedie loro dedicate è una Olimpiade per deficienti come quella da loro realizzata per la televisione bavarese. Quindi procedo a passo – ministeriale – dell’oca.

Gli episodi sono in tutto quarantasette e mezzo. Ai quarantacinque della serie regolare prodotta dalla BBC (13 + 13 + 13 + 6) vanno infatti aggiunti i due strepitosi speciali girati nei pressi di Monaco di Baviera nel 1971 e nel 1972, il Fliegender Zirkus. Peraltro qualitativamente superiori grazie all’impiego della pellicola. Risale al 1971 un’altra chicca, anch’essa in pellicola, girata in occasione dell’Euroshow. Lo speciale sul Mayday. Non è interamente originale ma contiene la leggendaria Flish Slapping Dance, i cui trenta secondi killer saranno riproposti anche nel corso della terza serie. Il pezzo forte dei due episodi “tedeschi” sono gli sketch sportivi, ideati sull’onda delle Olimpiadi. Non è un caso che questi spezzoni ritornino in quasi tutte le successive antologie e come intervalli negli spettacoli live (dall’Hollywood Bowl all’O2). Nella forma letterale di una videocassetta pescata nell’immondizia, il corto sul Mayday viene recuperato durante lo speciale di due ore andato in onda su BBC2 nell’ottobre del 1999. Prima dimostrazione di come i Python, seppur monchi (Graham morto, Idle fisso negli USA), avessero ancora delle cartucce originali da sparare.

Le quattro stagioni “classiche” sono molto diverse tra loro. La prima è un miracolo di scrittura, e non a caso contiene dei classici riproposti (e imitati) senza sostanziali modifiche per cinquant’anni di fila. I gruppi creativi attorno al tavolo di casa Jones sono ben definiti: Cleese e Chapman scrivono assieme (dialoghi serrati, dialettica urticante), idem per Palin e Jones (esplosioni surreali, goliardate visive), Idle scrive da solo (giochi di parole, canzoncine, punchline degne di Tyson), Gilliam sta per conto suo, disegna, anima, crea l’immaginario che renderà unica la comicità dei Python, preparandola al salto cinematografico. Inutile fare elenchi, liste, sciocchezze da pinterest. Personalmente trovo solo scandaloso che lo sketch It’s a Tree (dal decimo episodio, “Untitled”) non si trovi su youtube. La seconda stagione contiene alcuni degli episodi migliori in quanto episodi – The Spanish Inquisition, Spam – e rappresenta un’ottima via di mezzo tra il lavoro di scrittura dello sketch e quello di messa in scena, volto sempre di più a creare un flusso, un racconto d’immagini con elementi che riaffiorano di continuo. L’isolamento dello Science Fiction Sketch (settimo episodio della prima serie), coi suoi ventitré minuti compatti e un po’ brodosi, non si ripeterà mai più. La terza stagione arriva dopo il film And Now for Something Completely Different, che offre alla platea britannica un primo best of di gag rigirate appositamente in pellicola e lievemente imbellettate quanto a resa visiva. Arriva anche con un John Cleese stanco del format e stufo dell’alcolismo di Chapman. L’argomento è delicato e vanta teorie e testimonianze varie come quelle sulla fine dei Beatles. Basti dire che Cleese era già molto famoso prima dell’avvio del Circo volante, scalpitava per realizzare dei progetti in solitaria (e ci riuscirà alla grande con Fawlty Towers) e Chapman, be’, in alcuni sketch della terza serie si vede che legge da un pannello. Una fragilità che spezza il cuore e si riallaccia a quella di Terry Jones nei live all’O2 del 2014. Detto questo, anche la terza serie ha degli episodi d’oro – soprattutto nella prima metà, culmine con l’All-England Summarize Proust Competition – ma risulta un po’ appesantita da un livello eccessivo di sofisticazione: la sigla parte nei momenti più imprevisti, si gioca molto sui falsi finali, lo squalo da saltare è all’orizzonte. La quarta stagione è indubbiamente la più fiacca. Cleese non c’è, l’equilibrio del gruppo collassa. Si salva il segmento iniziale dell’ultimo episodio, Most Awful Family in Britain, mentre l’acconciatura di Chapman nel quinto (Mr Neutron) apparirà come il feto di 2001 nei primi minuti del live anno 2014.

La conclusione del Circo volante segna solo l’inizio di sei carriere tentacolari, al loro meglio quando sono tornate a compattarsi in un’unica, creosotiana creatura. Ovviamente nei film a sé stanti, tutti diretti da Terry Jones, tra i Python quello più attento all’unità del gruppo, capace di trovare il giusto compromesso al momento giusto. Holy Grail e The Meaning of Life recano una chiara impronta Palin-Jones-Gilliam, il primo con l’attenzione al Medioevo, il secondo per il ritorno allo sketch, allo “ripping yarn”, meglio se pirotecnico come Every Sperm Is Sacred. Life of Brian è universalmente considerato il loro capolavoro, e i sei diretti interessati confermano anche perché l’hanno scritto su un’isola da sogno e l’hanno girato in Tunisia invece che in Scozia sotto 16 tonnellate di pioggia al giorno. Mi permetto di dissentire. Il film del 1979 realizzato coi soldi di George Harrison è un classico vero, ma gli manca l’anarchia caotica e pezzente di Holy Grail. Quanto a The Meaning of Life, che rischiò di vincere a Cannes, contiene dei momenti apicali anche in termini cinematografici e lisergici. Il cortometraggio introduttivo, con un Gilliam regista pronto a sfornare Brazil, l’intervallo (The Middle of the Film) e naturalmente lo sketch al ristorante. La mentina è farina del sacco di Cleese.

Nel 1983, i Python erano bell’e finiti come gruppo. Eppure era iniziata una fase nuova, che tutto sommato prosegue ancora oggi. In questa fase il leader indiscusso si chiama Eric Idle, ed è una fase di rimasticamento e adattamento transmediale. Già nel corso degli anni Settanta i Python hanno pubblicato degli album con contenuti originali (Eric the Half-a-Bee, Sit on My Face) riproponendoli con gusto dal vivo. Il Live all’Hollywood Bowl del 1982 è sintomatico di questa propensione al riciclo intelligente, che mischia antiche pepite catodiche con recuperi filologici (sketch pre-Python di Cleese e Chapman, come i quattro gentlemen dello Yorskhire o il wrestler solitario) e soprattutto tanta, tanta musica. Al momento, le quattro stagioni del Circo sono disponibili su Netflix. Ma se dovessi consigliare una mentina propedeutica, allora che sia lo show del 2014 andato in scena con dieci repliche all’O2 londinese. Sì, ci sono cinque maschi bianchi settantenni, quattro dei quali timbrati Oxbridge, determinati più che mai a battere cassa. E c’è l’unica donna della serie originale, Carol Cleveland, riproposta come allora – allegramente troia e senza battute memorabili. Ma il pythonesco è sempre stato così, anapologetically cheeky, maschilista, discontinuo e incline al nudo frontale anche se si tratta di uno pseudomessia. Il live del 2014 è merito del fiuto di Idle, che negli anni precedenti ha saputo mietere successi clamorosi come Spamalot o il rilancio in classifica di Always Look on the Bright Side of Life. Non solo musica e balletti, però: anche una selezione impeccabile di sketch (dal vivo, o riproposti su schermo gigante come le animazioni di Gilliam e qualche carotaggio chapmaniano) e soprattutto il coraggio di osare il ritocco, l’ammodernamento, la strizzata d’occhio dell’ultim’ora. Ecco allora che Cleveland propone a Palin un “blowjob” come alternativa ai cinque minuti di alterco a pagamento, ecco Cleese & Palin che si prendono ampie licenze (ed excursus contro i tabloid) nel rifare il Pappagallo morto. Ed ecco, soprattutto, un Terry Gilliam scatenato e scatologico più che mai, unico Gumby superstite, e un Terry Jones già malato, con deficit cognitivi, che sale sul palco e fa il possibile, abbracciato metaforicamente dai colleghi. In Crunchy Frog, Cleese gli strappa di mano il cartoncino da cui sta leggendo – ed è come il fuck pronunciato al funerale di Chapman. Dolce, esilarante, liberatorio. Prima dell’ultimo rito collettivo, i Python si erano riuniti in occasione dello speciale anno 1999 e, anche se sparpagliati, nel film per ragazzi girato nel 1996 da Jones, The Wind in the Willows. L’ultima occasione che li vede di nuovo insieme, tutti e sei, risale al 1989 ed è in qualità video pessima. Si tratta dell’antologia in VHS Parrot Sketch not Included, aperta e chiusa da uno Steve Martin in stato di grazia. Il quale, alla fine, apre e chiude in un battibaleno un armadio dove sono chiusi i Python, tra cui Graham malato terminale di cancro. Sarebbe morto di lì a poco. La testa di Jones si è spenta del tutto il 21 gennaio scorso. Two Down, Four To Go.