domani è mortedì

Della morte e del cielo (2020): Nicola Mari colorato da Giovanna Niro.

Il 7 aprile 2022 è uscito il sesto e ultimo volume dei Racconti di domani, scritto da Tiziano Sclavi e disegnato da Angelo Stano per i colori di Sergio Algozzino. Domani andrà meglio. Pur con tutta la sordina che ha accompagnato la pubblicazione di questa serie-testamento sclaviana, cartonata e sovrapprezzata, si tratta di un evento. Ne approfitto per riflettere sugli ultimi vent’anni di Tiziano, contraddistinti da grandi frenate, stop and go, diamanti nascosti, mici di Schrödinger.

Nel 2001 esce Il “Progetto”, Dylan Dog numero 176, disegni del fido Casertano (l’artista più legato a Sclavi). Non è un addio annunciato, ma nel corso del tempo è come se lo diventasse. Dopo due decenni di lavoro indefesso e il boom di DYD registrato nella decade tra il 33 e il 43 (siamo ai tempi della caduta del Muro), la prima battuta d’arresto sclaviana si registra in uno dei suoi capolavori, Caccia alle streghe (n. 69, disegni di Dall’Agnol), nel cui finale ovviamente onirico – o pluridimensionale: ma ci torneremo – l’indagatore è trascinato via dai sacerdoti-zombi della censura alla stregua del suo maramaldo alter ego fumettistico Daryl Zed. La testata bonelliana era finita in Parlamento con assurde accuse di incitamento alla violenza nei giovani, e il Tiz l’aveva presa malissimo. Il tema era fuori dai coppi, come qualsiasi applicazione della teoria ipodermica della comunicazione di massa – “io ti inietto il messaggio e tu obbedisci” – e soprattutto non era certo DYD il problema, semmai la ridda di imitazioni grezze e gratuitamente sanguinose. In ogni caso, il Tiz la prese male e iniziò a tirare i remi in barca, non perdendo occasione per far fuori la sua creatura.

Sclavi lo minaccia nell’ultima tavola di Caccia alle streghe, confeziona dopo quasi un anno di silenzio un numero 100 (disegni di Stano) mitopoietico e assertivo nella sua volontà di concludere la serie anche se questa fosse proseguita – come ha fatto e continua a fare, malgrado tanti sfrangiamenti. Lo fa nel “Progetto”, impiantando in Dylan un microchip del controllo mentale che gli esplode in testa, allettandolo con prognosi riservata. Per tacer degli UFO, ossessione principe di Tiziano che da Alfa e Omega (n. 9, disegni di Roi) passando per la trilogia extraterreste (n. 61, 131, 136, disegni di Brindisi) fino ai giorni nostri innerva le sue opere più importanti, anche Il “Progetto”. Vedremo in quale chiave. Da quel momento, Sclavi tace per cinque anni e riaffiora con quattro albi usciti tra il 2006 e il 2007, in corrispondenza del ventennale di Dylan. Il primo, Ucronìa (n. 240, Saudelli ai disegni) mischia la storia alternativa col celebre esperimento mentale di Erwin Schrödinger, mentre l’ultimo, Ascensore per l’inferno (n. 250, illustrato da Brindisi), è la classica avventura celebrativa esterna alla continuity, con Dylan sbattuto a tavola 98 davanti all’assise degli Inferni, col demonio, la morte e il paffuto burocrate con due facce.

Sempre nel 2006 esce Il tornado di Valle Scuropasso (Mondadori), finora l’ultimo romanzo a firma Sclavi. L’ho riletto di recente tutto d’un fiato, rimanendone positivamente colpito. Il Tornado è un romanzo autobiografico sull’alcolismo camuffato da storia sbilenca di provincia e alienazione. Gli alieni, più che un atto di fede, sono generati dalla depressione e dall’alcol. Loro, e i tornadi. Così come in Dylan, fin dal numero 4 (Il fantasma di Anna Never, disegni di Roi), l’alcolismo crea pipistrelli e fantasmi. Un’intuizione devastante che tornerà, mai così esplicita, nel magnifico albo Dopo un lungo silenzio (n. 362, disegni di Casertano). Non solo. Con maggiore economia rispetto a Non è successo niente (1997), il bestseller sclaviano che nessuno ha letto, nel Tornado torna il paese nel pavese di Buffalora (in realtà Boffalora), anche se Dellamorte e Gnaghi latitano, e tra le righe si fanno strada tante piccole manie dell’autore. Il numero tre – da cui l’omonimo romanzo uscito per Camunia trent’anni fa – la scatoletta smangiucchiata da denti umani (un ricordo di un vecchio Nembo Kid che tornerà anche nel terzo volume dei Racconti di domani), la tavola iniziale di Memorie dall’invisibile con le indicazioni per il disegnatore (sempre Casertano), una nuova canzone (Sfera: bellissima) e a pagina 91, in barba ai lettori italiani, solo quattro parole: Non è successo niente.

Con Ascensore per l’inferno inizia un’attesa dolorosa di nove anni, spezzata dalla pubblicazione del numero 362. Inutile, e fuori luogo, speculare cosa (non) sia successo nel frattempo. Roberto Recchioni, dal 2013 alla guida della testata, ha più volte raccontato di aver ricevuto la sceneggiatura di Dopo un lungo silenzio corredata dal messaggio “Sei il mio curatore. Curami”. Per Recchioni, riportare in pista Sclavi è valso come una megatacca sulla pistola, ed è indubbiamente merito suo se questa terza ondata di pubblicazioni a firma Tiz, appena conclusasi con Domani andrà meglio, è stata accompagnata da disegnatori fuoriclasse e da almeno un’idea geniale di marketing (la copertina bianca del 362). Dopo un lungo silenzio mantiene quel che promette fin dal titolo e caccia il dito nella piaga per eccellenza di Dylan e del suo creatore, cioè la dipendenza dall’alcol. Ho perso il conto delle volte che l’ho letto. Piango sempre. Più classico, “di mestiere”, il successivo Nel mistero (n. 375, disegni di Stano con colori di Giovanna Niro), che si conclude con un risucchio cosmico, l’istinto evidente di voler farla finita con tutto: “… e poi più niente”.

E poi, graphic novel. Nel 2019 il Tiz pubblica con Feltrinelli Le voci dell’acqua, per i disegni in bianco e nero del raffinatissimo Werther Dell’Edera. Il cognome dell’autore campeggia a caratteri mastodontici sulla copertina di questo volumetto senza numeri di pagina venduto come il suo primo romanzo a fumetti. Il che è vero, anche se Roy Mann (disegni di Micheluzzi) o alcune storie dei vecchi Dylandogoni meriterebbero il medesimo status. Qui Sclavi abbandona gli universi di Dylan e mette al centro – di un rizoma di tavole, in realtà – l’alter ego Stavros, a cui è stata diagnosticata la schizofrenia (o è un cancro al cervello?). Ambientato in una cittadina dell’Italia settentrionale, Le voci dell’acqua è un elegante centone di fisse sclaviane: ci sono gli UFO, c’è John Merrick, c’è una chiavetta USB contenente la verità sulla vita dopo la morte (il consueto mélange di tecnologia, meglio se rétro, rocket science e filosofia), c’è un uomo che vuole vendicarsi della madre ormai demente (una situazione che tornerà nei Racconti di domani, quinto volume, Variazione sulla macchina del tempo), c’è uno scambio tra innamorati che ricorda i dialoghi del Lungo addio (DYD 74, disegni di Ambrosini). C’è un capitoletto intitolato Un giorno qualunque della settimana: mortedì. Il segnale è deboluccio, ma il tocco di Tiz funziona ancora.

Risale al 2020 Zardo, strana graphic novel di appena 48 pagine ispirata al romanzo Nero. (Camunia, 1992), dal quale Giancarlo Soldi ha anche tratto un film. A latere vale la pena ricordare anche il suo documentario su Tiziano Nessuno siamo perfetti (2014) in cui appaiono paciose balenottere volanti simili al babau ripescato da Sclavi nel sesto volume dei Racconti. In Nessuno siamo perfetti, il Tiz afferma vigorosamente che non scriverà mai più. Per fortuna si è smentito subito dopo. Zardo, in realtà una vecchia sceneggiatura per Casertano recuperata in forma di fotocopie, è stata una piacevole sorpresa. Il file MacWrite, ci informa Tiziano nell’introduzione al volume, è andato perduto. Ai disegni c’è il recchioniano Emiliano Mammucari, ai colori Luca Saponti. La storia è esile, nerissima e macellaia, tutta italiana, con una sbandata ufologica che manca nel romanzo. Col senno di poi è notevole un breve elogio dello “scendere” che ritorna nel quinto volumi dei Racconti (l’episodio “Scendendo”).

Tra il 2019 e il 2022, Tiziano Sclavi ha fatto il suo grande ritorno in libreria con la serie cartonata I racconti di domani, pubblicati rispettivamente: uno nel 2019, due nel 2020 e nel 2021, uno quest’anno. Contando che si tratta di volumi di 64 pagine senza appendici, a colori, prezzo di copertina 19 euro, gli habitué della Bonelli da edicola ci sono rimasti un po’ male, visto che Dopo un lungo silenzio e Nel mistero (a colori), presi insieme, facevano 6,7 euro per quasi duecento tavole. Marketing a parte, è interessante la collocazione liminale della serie nel mondo dylandoghiano. “Dylan Dog presenta” è la cornice dei volumi, anche se sarebbe più corretto dire “Safarà presenta”. Sclavi utilizza infatti una delle sue creazioni più funzionali come sistema operativo dei sei volumi. L’emporio dell’impossibile e il suo proprietario Hamlin, faccia da Nosferatu e nome da fratelli Grimm, appare per la prima volta nel numero 59 (Gente che scompare, disegni di Coppola), tornando poi in Zed (n. 84, Brindisi), nel 182 (Safarà, Ruju-Freghieri), nel 197 (I quattro elementi, De Nardo-Celoni), nel 200 (Barbato-Brindisi), nel 210 (Il pifferaio magico, Barbato-Brindisi), nel 312 (Epidemia aliena, Gualdoni-Dell’Uomo). Hamlin apre il 401 (L’alba nera, Recchioni-Roi) vendendo il clarinetto alla versione reboot di Dylan, e questo spiega il suo ruolo nell’economia – tout court – della serie Bonelli, che per sopravvivere, sperimentare ma non cacciarsi in vicoli ciechi ha adottato scopertamente l’idea degli universi paralleli. Scoperchiata proprio dall’introduzione di Safarà. Più che la “nuova serie di Dylan Dog”, I racconti di domani sono la miniserie di Hamlin.

Non a caso, l’umbratile figuro appare spesso nei primi due volumi, apre il quarto e chiude il sesto. Il volume dei Tales of Tomorrow appartiene al suo inventario, e Dylan ne è attratto dimenticandosi ogni volta di essere già entrato nel negozietto. Idea semplice ma sempre efficace. Questa la premessa. Il nocciolo è a ben vedere un’antologia di spunti sclaviani, dai raccontini à la Borges (o à la Urania) a brevi apologhi politici, il tutto condito da immagini e concetti che i lettori di Tiziano hanno imparato a conoscere già cinquant’anni fa, in Film (edizioni Il Formichiere, 1974).

Il volume numero uno s’intitola Il libro impossibile e sfoggia disegni e colorazione di Gigi Cavenago, ormai ex (purtroppo) copertinista della serie regolare. Rimandato per anni e uscito senza grande clamore, questo incipit conferma le impressioni delle Voci dell’acqua. Segnale debole, mestiere solido. E qualche scivolone. Una sintesi ben rappresentata dal racconto più lungo di tutta la serie, Il punto di vista degli zombi, con un Dylan comprimario ma pistolettante, una bella riflessione sulla morte e un protagonista giovane ministro britannico – con le fattezze di Tom Hiddleston – che a suo tempo non poteva non valere come un ammiccamento critico a Matteo Renzi. Fuori tempo massimo, oltre che spuntato così come il raccontino lampo Fumo che critica le misure di contenimento del vizio. I racconti di domani era stato presentato come un ritorno sulle barricate dello Sclavi più impegnato. Peccato che questo sia anche l’aspetto meno interessante, per non dire più banale, della sua scrittura.

In Della morte e del cielo spiccano ancora una volta i disegni, ora di Mari e Niro. Non mancano le chicche, a partire dall’episodio di apertura Come venne l’amore per il professor Tristezza, l’ottimo Lo straniero (UFO a Buffalora!) e l’epilogo lampo con Dylan sotto la doccia che inquadra tutto il volume come un sogno del Nostro. Brevi cenni sull’Universo e tutto il resto (disegni di Giorgio Pontrelli, colori di Sergio Algozzino) è l’anello più debole della catenina. Nell’ultimo racconto, Tigì, la vera protagonista ritornante dei sei volumi, l’anchorwoman Eliza Kazan, ci informa della morte (provvisoria) di Dylan Dog. Che infatti si fa vedere all’inizio del quarto, salta il quinto e torna in chiusa al sesto. Varie ed eventuali (disegni di Sergio Gerasi, colori di Emiliano Tanzillo) è una piacevole sorpresa. Tutti gli episodi sono, oltre che graficamente mozzafiato, ben scritti: Il treno, L’elastico, Oltre l’orizzonte, Porsche 356, I testimoni di…, con una menzione speciale per La macchina del tempo. Qui Sclavi riesce a farsi rileggere volentieri per gustarsi i dettagli e i vari livelli narrativi – il motivo per cui Dylan Dog è diventato un classico del fumetto. Ammazzando il tempo, volume cinque (disegni di Davide Furnò, colorazione di Furnò e Giulia Brusco) segna un’altra battuta d’arresto, con elementi ripetivi quali il donnone del Cadavere ingombrante, già visto nel Mondo di fuori (secondo episodio del Libro impossibile) e topos sclaviano almeno dai tempi della Bellezza del demonio (DYD 6, disegni di Trigo).

Domani andrà meglio è animato dal pathos mesto del migliore Sclavi fumettistico. Ritornano le riflessioni sull’intelligenza artificiale e sulle invasioni aliene, ritorna il babau simbolo del destino indifferente (nell’episodio L’orchera, dotato persino di due splash page), si conclude la parabola di Eliza Kazan… e Groucho, grazie al cielo, non c’è. Nel tassello più riuscito, Maschere, Tiziano ricorre in parte all’intuizione che ha fatto della Casa degli uomini perduti (speciale DYD numero 5) un autentico capolavoro. I disegni di Stano sono al solito pittorici e mai uguali a sé stessi, rispettando la regola d’oro che contrappose L’alba dei morti viventi a Morgana. Il Tiz cita Einstein per riportare a galla un po’ di meccanica quantistica (lui, Albert, che la odiava), sostenendo che la “realtà è un’illusione persistente”. Un po’ come questi racconti scritti sull’acqua, a volte semplici buchi, altre volte sassolini saltellanti che creano onde e increspature. La conclusione è una mise en abyme sferzante come l’ultima inquadratura di Twin Peaks – The Return. Tiziano si chiude, ci chiude, nei vani di Safarà, e butta la chiave. Che giorno sarà domani?

Il tornado di Valle Scuropasso, p. 91.