
Nanni Moretti in Polonia… si può? Si può. Con un correttivo malandrino in stile Tsai Ming-liang. Marek Koterski è la scoperta degli ultimi mesi, una di quelle che ti lasciano a bocca spalancata anche dopo decenni di videocassette pirata, cinéma d’auteur à la Bazin, dvd grabbati, rippati e bruciati, nuvole e tubi. Come ho fatto a campare senza di lui e soprattutto senza il suo alter ego Adaś Miauczyński, sghembo protagonista di nove film in quarant’anni? Contiamo fino a sette e partiamo, perché sette è il numero magico – cioè anale – dell’Adam più famoso della cultura polacca (dopo Mickiewicz).
Conviene cominciare in medias res, cioè dal centro esatto di questa filmografia spalmata tra il 1984 e il 2018. Dzień świra (2002, sottotitoli inglesi sul portale 35mm), titolo internazionale Day of the Wacko, è considerato da molti, in patria, la commedia moderna più bella e graffiante del cinema polacco. Persino più di Rejs. Saltando a piè pari il tema delle top ten e dei paragoni tra mele e pere, i motivi di tanta popolarità ci sono tutti. Film compatto e dritto come un fuso, Dzień świra si dipana per un giorno esatto nella – fantozziana – vita del suo antieroe, polonista frustrato, marito lasciato, padre di un adolescente selvatico (Michał Koterski, figlio del regista) e maniaco ossessivo compulsivo a livelli da Michele Apicella. In concreto non succede un granché, ma sul piano filmico queste 24 ore al seguito di Marek Kondrat – che interpreta Adam – sono un maelstrom di tic, sfuriate, fantasie romantiche (nel senso letterario del termine), pensierini erotici e bordate contro tutto e tutti. A cominciare dai vicini, che al calar della sera intonano un’antipreghiera augurandosi l’un l’altro ogni male. Non un vicinato qualunque: chi ha visto il Decalogo di Kieślowski riconoscerà i classici appartamentini, l’accrocco di palazzine, gli ascensori e le trombe delle scale da asma e i sentieri nel poco verde inframmezzato al grigio dei prefabbricati, insomma il tipico microcosmo da grande città dell’Est europeo. Il film si conclude con una citazione da Saint-Exupéry (Terre des hommes) che spezza il cuore e stimola empatia pure nei confronti del burbero protagonista. Bonus impossibile da dimenticare: la sua fissa per il numero 7.
Dzień świra è questo e molto altro. Koterski vi intesse una trama fittissima di riferimenti tra il sublime e l’infimo, flirtando con l’attrazione di Gombrowicz per l’infantile più grezzo ma senza mai perdere di vista una solidità nella scrittura che ricorda il teatro. E infatti questo film, come quasi tutti quelli di Koterski, nasce come monologo teatrale, sfogo di un’unica voce. Col passaggio alla messinscena cinematografica si potenzia l’elemento maniacale, con una batteria di immagini e situazioni ricorrenti, o idee felliniane come la parodia volgare delle pubblicità (una trovata presa paro paro da Ginger e Fred). Il titolo polacco del film di Harold Ramis Il giorno della marmotta (cioè Ricomincio da capo) è letteralmente Dzień świstaka, e al momento di scrivere il suo film più rispettoso dei dettami aristotelici è molto probabile che Koterski abbia lasciato volontariamente anche questa eco.
Adam, per gli amici (e la mamma) Adaś Miauczyński non nasce nel 2002, ma nel 1984. Dom wariatów (‘la casa dei pazzi’, quindi ‘la gabbia di matti’), ideato ai tempi della legge marziale, è il debutto cinematografico di Marek Koterski. A sua volta polonista con una passione per il romanticismo, almeno inizialmente più vicino al teatro che al cinema, Koterski incardina il proprio metodo di lavoro fin da questo – allora inconsapevole – primo capitolo dell’epopea miauczyńskiana. Nella sceneggiatura, Adam ricorre come JA (‘io’) e il cognome, che miagolando giochicchia con quello dell’autore (kot = gatto), stavolta non appare. Film livido chiuso tra le poche pareti della casa dei genitori in una sera d’inverno, Dom wariatów con le sue atmosfere asfissianti è a malapena una commedia, e se proprio è una commedia nerissima, con un tipo di umorismo non per tutti i palati. A essere immediatamente riconoscibile, almeno per il pubblico polacco di allora, è il clima da lockdown – causa carrarmati per strada – e la frustrazione imperante di un popolo costretto a sfogarsi con l’alcol e le sigarette. In termini di plot non succede quasi nulla: in compenso, sbocciano le piccole manie, i soprammobili posizionati diversamente da questo o dall’altro membro del nucleo familiare, che fioriranno rigogliose in Dzień świra. I vicini del piano di sopra sono l’orrore in carne e ossa – basta una chiazza d’olio sulla giacca mentre l’uomo ingolla un’acciuga, per qualificarlo antropologicamente – la madre (Bohdana Majda) è un gigante dalla cui ombra il protagonista non può scappare, e il padre, mezzuccio di sceneggiatura che non vale come spoiler, si vede ma non c’è, perché è morto da un pezzo. A tratti, Dom wariatów sembra l’Eraserhead della repubblica popolare polacca.
Życie wewnętrzne (‘vita interiore’, 1986) è quanto di più vicino a Dzień świra ci sia nei primi anni di attività di Koterski. Innanzitutto, l’atmosfera condominiale è pressoché identica, col ruolo centrale dell’ascensore come cella in cui incontrare il peggio dell’umanità. Un altro elemento clou che qui irrompe alla grandissima è l’erotismo, sfacciato e frustrato, con un livello di “graficità” che può spiazzare. In realtà, guardando ad altre commedie polacche molto popolari dell’epoca come Seksmisja (1983) di Machulski, l’addentellato con quella che in Italia chiameremmo commedia scollacciata non era una novità, né indispettiva tanto la censura. La sorpresa, rispetto a una lettura monolitica dell’opera koterskiana, è data dal protagonista: si comporta come Adaś Miauczyński, parla come Adaś Miauczyński, lo trattano da Adaś Miauczyński… ma si chiama Michał (Miauczyński, cognome pronunciato qui per la prima volta), e a interpretarlo non è il pensoso Marek Kondrat bensì il saturnino Wojciech Wysocki. Con Życie wewnętrzne inizia la composizione di un autentico autoritratto cubista. Miauczyński, maschio bianco etero di età variabile – ma spesso quarantenne – cambia faccia, a volte cambia anche nome, ma resta una maschera potentissima non solo del proprio autore, ma della polonesità in generale. Cosa succede in questo film? Al solito, non granché, ma sicuramente di più rispetto a Dom wariatów: il protagonista ha a che fare col cane aggressivo del vicino, viene scambiato per un vampiro, cena ogni sera con la moglie mangiando un piatto freddo e guardando in tv un documentario sulla Shoah, sogna episodi erotici con la vicina. La sequenza della passeggiata notturna con interrogatorio della polizia, per quanto comica nella struttura, fa venire i brividi. Fun fact: a teatro in quel di Varsavia nel 1987, Życie wewnętrzne fu interpretato da Krzysztof Kowalewski, attore brillante molto vicino a Tym e Bareja.
Porno (1989) segna una prima battuta d’arresto. Michał – di nuovo – Miauczyński è qui interpretato dal giovane Zbigniew Rola, e l’unico modo di leggere il film è quello di un gesto liberatorio con un titolo bipenne, da un lato letterale, dall’altro omaggio a Gombrowicz. La trama esile è davvero assimilabile a quella di un porno, se vogliamo a un coming (o cuming) of age, e guardando all’anno di produzione ci si può immaginare un senso di liberi tutti, che qui assume i tratti scostumati di un film molto lasco, ma anche poco interessante.
Discorso diversissimo per Nic śmiesznego (‘niente da ridere’, 1995, su 35mm con sottotitoli inglesi), film col quale Koterski riprende con piena consapevolezza l’epos di Miauczyński… ammazzandolo. Infatti si inizia col cadavere di Adam (Cezary Pazura) sognato da Adam, e la sua voce fuori campo che dice “In vita non m’è mai capitato nulla di divertente” (Nie spotkało mnie w życiu nic śmiesznego). Il resto è flashback, a cominciare dal litigio dei genitori del protagonista sulla scelta del nome: Adam oppure Michał? Un retcon, o semplicemente un gioco autoreferenziale per tirare le fila e scolpire il monumento a JA, cioè ad Adam, che in questo film vive a Łódź, è aspirante regista e ha una famiglia (moglie, figlio e figlia) che lo detesta, tanto da farlo fuori con uno stivale di gomma mentre lui tiene in bocca un peluche rosso. Magnifica sospensione dell’incredulità. La forza di Nic śmiesznego sta nell’imbastire situazioni paradossali che ricordano i film di Stanisław Bareja (noi diremmo: i film di Fantozzi). In questo senso, la struttura episodica di Dzień świra è già molto presente, insieme a una prima analisi critica della vita quotidiana post-socialismo. Va detto che Koterski, autore individualista, non è molto raffinato nel criticare la politica. Alcune sparate di Nic śmiesznego o Dzień świra hanno un chiaro sapore populista, ma è anche vero che la raffica di governicchi degli anni Novanta non aiutò certo a innamorarsi della riconquistata democrazia parlamentare. La forza di questo film è semmai in alcuni momenti, tra Bergman e Fellini, in cui l’infanzia del protagonista prende il sopravvento; nella scena in cui Adam e signora guardano in tv, senza suono, un programma incentrato sulla decorazione pittorica dei piatti (questa, sì, una critica puntuta alla società capitalista rincoglionita dai media); nell’esilarante mise en abyme in cui Adam partecipa alle riprese di un film erotico che ripete, identica, una scena di Życie wewnętrzne (mantenendo persino l’attore Wojciech Wysocki). Con i suoi richiami a Bulgakov e le sue piccole (s)manie trascinate fin dalla tenera età – una per tutte: i denti spazzolati con troppo vigore – Nic śmiesznego si presenta come il riassunto conclusivo dell’era Miauczyński. Adam muore, “No co, żarty się skończyły”. Fine delle barzellette.
E invece no, perché nel 1999 esce Ajlawju, sempre con Cezary Pazura, commedia romantica che dimostra come Koterski non fosse affatto pronto a togliere di mezzo il proprio alter ego. Adam è redivivo, stavolta fa l’insegnante – come in Dzień świra – vive a Łódź e ha un’amante a Wrocław, una vecchia conoscenza rivista dopo anni. Questo non fa di lui un farfallone, semmai un uomo frustrato, con un figlio (Michał Koterski) e una moglie che non lo regge, sempre stesa a leggere sul divano. Le si vedono solo i piedi. La madre di Adam, come in Dom wariatów, ama preparargli una “zupa pomidorowa, dobra” (zuppa di pomodoro, buona). Film non eccezionale, con una stancante musichetta jazz in sottofondo, Ajlawju prende il titolo dalla decisione di Adam di andare qualche settimana a Chicago, sede della più grande diaspora polacca, per studiare l’inglese. La sequenza americana è riuscita, anche se si coglie un sottotesto razzista, di natura sessuale (la stereotipica superiorità del nero) già visto in Życie wewnętrzne, e francamente ingiustificabile. Alcuni monologhi del protagonista, e la consueta graffa di tic e manie, introducono la realizzazione di Dzień świra.
Nel 2006 è la volta di Wszyscy jesteśmy Chrystusami (‘siamo tutti Cristi’), il più ambizioso film di Koterski. Reduce dal successo clamoroso del ‘giorno del maniaco’, lo sceneggiatore e regista idea un affresco in due parti, con due attori diversi (Andrzej Chyra è Adam trentenne, Kondrat Adam cinquantenne) e due macrotemi, cioè la religiosità e l’alcolismo. In realtà il tema religioso non viene approfondito in maniera nuova o interessante: il martirio del protagonista e del figlio non ha nulla di politico, anzi è una metafora ritrita delle sofferenze del popolo polacco. Il vero doppio macrotema, che fa di questo film il primo esperimento seriamente sociologico a firma Koterski, è il binomio alcol-sostanze. Se Adam è un alcolista, suo figlio (sempre Michał Koterski) fa uso di droghe. Entrambi sono alla deriva e si stanno rovinando la vita, ma è proprio nell’asse salvifico padre-figlio che il film trova il proprio punto di forza. Malgrado gli spunti brillanti – uno su tutti: il concretissimo angelo custode che salva regolarmente Adam – Wszyscy jesteśmy Chrystusami è un film drammatico che caccia il dito in una piaga antica della Polonia moderna. La zupa pomodorowa drobra non manca, eppure Adam prova a strangolare la madre, tracanna dello Chanel n.5 per farsi un cicchetto e quando la moglie gli dice di essere incinta, risponde chiedendo l’aborto. Comparsata lampo di Wojciech Wysocki nei panni di un preside, appena in tempo per beccarsi il vomito di Adam alticcio in servizio.
Con Baby są jakieś inne (‘le donne sono in qualche modo diverse’, 2011) Koterski apre una parentesi forse superflua. L’intero film segue due personaggi (Adam Woronowicz e Robert Więckiewicz) senza nome, ufficialmente “primo” e “secondo”, che guidano nella notte. L’unica eccezione quanto a location è una breve pausa all’autogrill esattamente a metà film, con Michał Koterski nei panni di un inserviente dall’acconciatura demenziale. Fin dalla dedica, babom (‘alle femmine’), si capisce dove il film andrà a parare, e infatti son novanta minuti di chiacchiere tra maschi, spesso rasenti il delirio da spogliatoio. L’impostazione teatrale è drammaticamente evidente, così come il sospetto che i due siano in realtà uno (Adam, chi sennò?) che parla tra sé e sé, cioè tra la propria metà emotiva (Woronowicz) e quella cinica (Więckiewicz). Sul finale il film diventa un po’ più film con l’apparizione di Małgorzata Bogdańska, che rifiuta un passaggio sbadigliando e parla direttamente a noi del pubblico. Una visione per completisti.
7 uczuć (‘sette sentimenti’, 2018) è finora il nono e ultimo film koterskiano. È anche quello in cui gli omaggi a Gombrowicz e Fellini sono più evidenti. In particolare il Gombrowicz di Ferdydurke (1937) e il concetto di upupianie, la riduzione del mondo a esperienza anale e puerile. Come Nic śmiesznego, anche questo racconto è interamente in flashback. All’inizio vediamo Adam – finalmente interpretato Michał Koterski – parlare con uno psicoanalista, dopodiché ci tuffiamo nel passato… e davanti alla macchina da presa c’è sempre lui, Michał Koterski, insieme al fratellino maggiore Miki (Robert Więckiewicz). L’idea del film, a dire il vero non stratosferica, è quella di far interpretare i bambini da degli adulti. Tant’è che la classe del piccolo Adam ha insegnanti, e genitori – con tanto di madre perennemente impegnata a cuocere una zupa pomidorowa dobra – interpretati da attori più giovani di quelli che vestono panni infantili. Una volta capito l’andazzo il film non ha molto da offrire, ma sul finale sterza e diventa una riflessione filosofica sulla sopravvivenza e la necessità di dare ascolto ai bambini.
Incostante ma sempre sincero, maestro della ripetizione maniacale e della risata a denti digrignati, Marek Koterski è un nome ingiustamente ignorato fuori dai confini polacchi. Prima di tuffarsi negli abissi di film come Dom wariatów, Życie wewnętrzne o Nic śmiesznego, conviene almeno guardare Dzień świra, manifesto perfetto del koterskismo e dimostrazione che il cinema d’autore, intinto di commedia, ha una storia anche a cavallo della cortina di ferro. Trovo tuttora incredibile, e di una bellezza abbacinante, che il film del 2002 si concluda citando, in polacco, questo brano di Antoine de Saint-Exupéry: “Vieux bureaucrate, mon camarade ici présent, nul jamais ne t’a fait évader et tu n’en es point responsable. Tu as construit ta paix à force d’aveugler de ciment, comme le font les termites, toutes les échappées vers la lumière. Tu t’es roulé en boule dans ta sécurité bourgeoise, tes routines, les rites étouffants de ta vie provinciale, tu as élevé cet humble rempart contre les vents et les marées et les étoiles. Tu ne veux point t’inquiéter des grands problèmes, tu as eu bien assez de mal à oublier ta condition d’homme. Tu n’es point l’habitant d’une planète errante, tu ne te poses point de questions sans réponse : tu es un petit bourgeois de Toulouse. Nul ne t’a saisi par les épaules quand il était temps encore. Maintenant, la glaise dont tu es formé a séché, et s’est durcie, et nul en toi ne saurait désormais réveiller le musicien endormi ou le poète, ou l’astronome qui peut-être t’habitait d’abord“.


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