irrealismo socialista

Popiół i diament (1958) di Andrzej Wajda

In tutto questo, Elia, il trasloco, le fatiche a dozzine del traduttore umano in un mercato sempre più disumano, ho finito l’università. O meglio: ho finito i corsi del mio Bachelor alla Humboldt. In aprile ho terminato la parte di Biblioteconomia, questo mese quella di polonistica, con un ultimo esame di letteratura in cui ho scelto una domanda su Jerzy Andrzejewski. Restano una Hausarbeit (su Stasiuk) e la tesi entro febbraio, in via di definizione. Il sollievo per la fine della frequenza, oggettivamente non più sostenibile – ed è un miracolo che sia arrivato fin qui – è comunque frammisto a una grande tristezza. Malgrado lo stress ho goduto ogni momento del mio ritorno all’università dopo vent’anni e passa, apprezzando gli stimoli e la trasmissione strutturata del sapere molto più che a suo tempo. I solipsismi e le distrazioni dei tardi anni Novanta hanno ceduto il passo a una concentrazione laser e soprattutto a un senso di urgenza, e riconoscenza, improbabili quando si è reduci da pessimi anni di liceo.

Studiando la letteratura polacca del Novecento sono rimasto molto colpito dalla figura di Andrzejewski, un mutante con almeno un classico al proprio arco – Cenere e diamanti – celebre soprattutto grazie alla trasposizione filmica di Wajda. Un paio di anni fa ho fatto qualche ricerca superficiale sul romanzo, constatando una genesi travagliata e una lunghissima assenza dagli scaffali delle librerie. L’unica traduzione italiana continua a essere quella di Vera Petrelli del 1961 per l’editore Lerici. In queste settimane sono riuscito ad andare alla radice, e allora ecco la storia di un romanzo radicalmente importante per la letteratura polacca, e del suo autore radicale ma non troppo.

Andrzejewski era cattolico. Si era fatto un nome col romanzo Ład serca (“l’ordine del cuore”, 1938), dalle dirette influenze bernanosiane, e col racconto Wielki Tydzień (“settimana santa”, 1943), incentrato sulla Shoah, parzialmente riscritto nel 1945. Classico nello stile, molto attento alle sfumature etiche e a far emergere domande esistenziali. Nel dicembre del 1946 scrisse la prima versione di quello che sarebbe diventato Popiół i diament. Un romanzo ancora incompleto, pubblicato sulla rivista Odrodzenie nella primavera del 1947. Siamo a Ostrowiec, Małopolska, tra il 5 e l’8 maggio 1945. Due le direttrici della trama. Da un lato c’è il ritorno a casa del giudice Antoni Kossecki, che nel campo di concentramento di Groß-Rosen ha funto da kapò. Una notizia destinata a filtrare gradualmente e a sconvolgere la sua cerchia. Dall’altro c’è l’ultimo compito affidato al giovane attivista Maciej Chełmicki dell’Armia krajowa. Maciej, stanco di combattere, deve uccidere il funzionario comunista Stefan Szczuka. Prima ammazza per errore due innocenti insieme ai compari, poi riesce nel compito, salvo finire crivellato nel finale poiché dei soldati lo vedono correre armato. Il romanzo di Andrzejewski tocca quindi due corde delicatissime dell’allora passato recente: le strategie di sopravvivenza sotto l’occupazione nazista e l’azione partigiana, avversa sia alla Germania hitleriana, sia al potere sovietico che poté consolidarsi a partire dal 1945. Il narratore della versione in rivista lascia parlare liberamente i personaggi e, sebbene onnisciente, mantiene un profilo basso. Il testo si interrompe nel bel mezzo di quello che sarà il settimo capitolo, con un dialogo notturno tra Kossecki e la moglie Alicja, ignara del suo ruolo a Groß-Rosen.

Nel 1948, per i tipi di Czytelnik, Cenere e diamanti vide la luce in una forma completa. Dieci capitoli dalla lunghezza molto varia e lievi accorgimenti rispetto a Zaraz po wojnie, subito dopo la guerra, perché così era uscito pochi mesi prima a puntate. Il nuovo titolo fa perno su una citazione da Cyprian Norwid in cui s’imbatte Maciej, cruciale per comprendere lo spirito del testo. La fonte precisa è Tyrtej, seconda parte del dramma Za kulisami (1865-1867). Possibile, si chiede Norwid, che in mezzo alla cenere della distruzione si possa scovare un diamante? Nonostante il potere sovietico in crescita, che in Polonia aveva come tentacolo il partito dei lavoratori (PPR, poi PZPR), Andrzejewski mantiene una certa equidistanza rispetto ai temi trattati, anche quando lancia in pista i membri del nuovo partito egemone. Szczuka, ad esempio, è in teoria un personaggio positivo, eppure viene subito messo in contrasto con l’antieroe Maciej in tema di sigarette. I due s’incrociano per la prima volta nell’atrio dell’Hotel Monopol, riuscitissima metonimia del carrozzone polacco novecentesco. Szczuka chiede al portinaio delle sigarette americane, mentre Maciej preferisce quelle ungheresi, “più forti”. Inutile dire che il dettaglio stampiglia simpatia sulla fronte del giovane attentatore.

L’accoglienza della critica fu piuttosto fredda, con una staffilata micidiale da parte dell’intellettuale integrato Jan Kott, che su Kuźnica accusò l’autore di “mały realizm” (piccolo realismo), vale a dire scarso coraggio nella rappresentazione dei quadri del partito. Il fatto che Andrzejewski non avesse militato in area socialista durante gli anni della guerra era ben noto, anche se col cambio di regime lo scrittore aveva iniziato una manovra di avvicinamento al governo Bierut. Una scelta opportunistica, forse obbligata per restare a galla, che tuttavia non traspare dalle pagine di Popiół i diament, quasi un resoconto in presa diretta del caos a Est sullo sfondo della capitolazione tedesca. L’autore non reagì alla critica, peraltro non isolata, e si limitò a partecipare pochi mesi più tardi al congresso di Stettino che introdusse anche in Polonia, ormai PRL (Repubblica popolare polacca) i postulati tagliati con l’accetta del realismo socialista di stampo sovietico, fissati dal congresso moscovita del 1934.

Nel 1950, Andrzejewski tornò su Odrodzenie con un testo dall’impronta diaristica intitolato Notatki, col quale fece micidiale autocritica. In pratica, diede ragione a Kott ammettendo di non aver sfruttato il romanzo per bilanciare il proprio attivismo a scoppio ritardato. Ho scritto troppa cenere con la sinistra e troppi pochi diamanti con la destra, annotò Andrzejewski prima di giungere alla conclusione che avrebbe dovuto scrivere un romanzo diversissimo. Popiół i diament continuò ad avere comunque un certo successo in libreria, e quando si trattò di andare in ristampa nel 1954 l’autore decise di rimetterci mano. Il risultato è una bizzarra iniezione di conformismo in un romanzo che fino a quel momento aveva mantenuto intatta una grande dignità di testimonianza storica e sociale.

Intervenendo su un ventesimo circa della foliazione, ma con decisioni strutturali presenti quasi a ogni pagina, Andrzejewski sincronizzò Cenere e diamanti col clima politico vigente. Ecco allora l’onnipresente appellativo “compagno”, russo diventa spesso sovietico, il gergo partitoidale si fa largo nelle descrizioni, il narratore tira qualche leva per influenzare la nostra opinione dei personaggi e, soprattutto, i dialoghi tra membri del partito vengono radicalmente riscritti, con aggiunte didascaliche o bizzarre sparizioni. Quella che era una generica parata diventa giocoforza un paratone del primo maggio. Socialismo reale ante Polskam, cioè ante PRL. Nella prefazione del marzo dello stesso anno, l’autore in pratica ritratta le Notatki dicendo, coda tra le gambe, di aver optato per qualche ritocco stilistico e “significativo” per meglio servire la platea dei lettori. La cosa buffa, o tragica, è che nel 1954 l’epoca del realismo socialista in Polonia era ormai al tramonto. Stalin era già stato divorato dai vermi e nessuno aveva più voglia di attenersi supinamente al corsetto ideologico, e noiosissimo, di un realismo irreale, manicheo, letterariamente una zappa sui piedi. Persino Kott, forse apprezzando lo svoltone codardo di Andrzejewski, finì per riabilitare il romanzo, che già nel 1948, parole sue, aveva brillato per freschezza e spontaneità.

La storia per fortuna non finisce qui, perché nel 1958 esce il film, dopo quasi settant’anni forse il minimo comun denominatore quanto a capolavori made in Poland, una delle poche pellicole davvero indispensabili per scrutare gli abissi, celestiali, dell’anima polacca. Andrzejewski scrive la sceneggiatura insieme a Wajda. Nel 1957, con un’altra delle sue svirgolate, l’autore stanco degli interventi censori aveva restituito la tessera di partito, iniziando lentamente a venire allo scoperto come critico del regime (non più di Bierut ma di Gomułka, storico avversario di Bierut). Regista e co-sceneggiatore decidono di comprimere l’azione e di sforbiciare la trama legata a Kossecki, per cui nel film il tema dei campi di concentramento non c’è. Maciej, interpretato dal James Dean polacco Zbigniew Cybulski e dai suoi eterni occhiali da sole (“perché durante la rivolta ho passato troppo tempo nei canali”), diventa il protagonista assoluto. Lui, un assassino, con le sue sigarette ungheresi, il flirt con la barista Krystyna e i tic attoriali indimenticabili, come la scena finale della morte, che sembra quasi una burla. Potenziato dalla concretezza mozzafiato tipica di Wajda, da fotogrammi spiazzanti e da un ritmo impressionante, che dipende dall’incastro dei piani e non certo dalla rapidità del montaggio, il film può essere visto ancora oggi una volta al mese senza stancarsi mai, e trovandoci sempre qualcosa di nuovo. Oltre ai suoi meriti cinematografici, il Popiół i diament del 1958 vale come una quarta, matura versione del romanzo, col braccio moralista tagliato di netto. La sequenza del banchetto dei comunisti all’Hotel Monopol, con i suoi toni grotteschi malgrado i dialoghi restino nei ranghi, è un magnifico esempio di critica col fioretto.

Andrzejewski non è mai più tornato sul romanzo. Nel 1977, lo slavista Witold Kośny ha pubblicato uno studio comparativo impeccabile sulle tre versioni. Nel 1997, Suhrkamp ha riproposto il testo del 1948 in un’edizione critica curata da Andreas Lawaty, con le parti successivamente ritoccate in corsivo e, in coda, un elenco dettagliato degli interventi e una ricostruzione della storia editoriale. Henryk Bereska, che nel 1961 aveva tradotto Popiół i diament in tedesco per l’editore orientale Volk und Welt, ebbe l’occasione di completare l’opera integrando le parti mancanti degli anni 1947-1948. Sempre nel 1961, e sempre sull’onda del successo internazionale del film di Wajda, Cenere e diamanti è arrivato in Italia nella traduzione di Vera Petrelli. Da un rapido riscontro (il paratone del primo maggio) si evince che il testo di partenza, com’è stata la regola per decenni, era quello del 1954. Possiamo quindi serenamente concludere che l’Italia deve ancora vedere la versione autentica di Popiół i diament. Cholera!